Per qualche strano motivo, che ancora non sono riuscito bene a definire, mi ha sempre ingolosito l'idea di pareciapre ad una gara di questa specialità. Forse sarà perchè lo spirito delle campestri delle scuole medie aleggia o meglio, serpeggia, ancora da qualche parte, mai sopito, su fondo della mia non più giovane anima. Quello stessospirito ha puntato la sveglia alle 6.15, ha fatto in modo che il mio corpo abbandonasse il caldo abbraccio del piumone e mi ha "consegnato" nelle sapienti mani di Michele che ha accompaganto me, e Sandra, su campi di gara.
Il "clima", nonostante la consueta goliardia, è quello degli eventi importanti.
L'ottima organizzazione, tranne qualche piccola pecca nella gestione della consegna dei pettorali, la presenza dei giudici Fidal, gli speaker che annunciano partenze e riusultati, tutto trasmette una sensazione di preaparazione, qualità ed ufficialità.
Cominciano la prime chiacchiere da bar, su come e quanto vestirsi, sulle scarpe da usare, su come gestire la gara. In questo frangente scopro che il livello richiesto è altissimo; decisamante al di sopra del mio attuale stato di forma e di preparazione. Ma, oramai, ci siamo è impossibile tirarsi indietro, mi dispiacerebbe solo arrivare ultimo e mi riprometto di fare di tutto per evitare questa eventualià.

Io e Michele, poco prima della partenza, decidiamo di fare un poco di riscaldamento. Indosso le mie nuove scarpette da cross, che aspettano, impazienti, di ricevere il battesimo sul campo. Il fondo, complice il fatto che siamo i primi a partire e che la temperatura è ancora sotto lo zero, è praticamete una lastra di travertino, tanto che motlti decidono di togliere le scarpe chiodate per optare per una normale scarpa da running, mentre io, cocciutamente, voglio provare a fare la gara con le scarpe nuove.
Il giro di riscaldamento è più lungo del previsto, tanto che arriviamo affannosamente sotto il gonfibile della partenza già in debito di ossigeno.
Repentinamente il via. Il gruppone parte. Sembra meno chiassoso dei soliti, vuoi per la mancanza dell'asfatlto, vuoi per il fatto che partono tutti fortissimo dal primo metro.
Fisso il terreno e mi ritrovo in molti punti a "danzare" tra le cunette e le buche piuttosto che a correre. E' impossibile mantenere una ritmo costante, devi allungare o accorciare il passo per scansare una buca, rallentare per una curva o una salita, accelerare nei piccoli rettilinei... ma la cosa mi piace un sacco.
Dopo il primo dei tre giri previsti, sono già nella zona rossa del contagiri. Non va bene così! In quelle condizioni, di solito, puoi fare uno sprint, puoi stringere i denti per l'ultimo 1000. Oggi io sto correndo i 2/3 della gara con la sola forza di volontà, e vi assicuro che più di qualche volta il diavolo tentatore mi ha sussurrato all'orecchio di fermarmi e lasciare perdere. Non lo ascolto e anzi rovisto nel fondo del barile e trovo quel briciolo di autostima rimasta, la condisco con una innata propensione alla sfida e, addirittura, riesco, incredulo, a piazzre qualche sorpasso nei tratti tortuosi.
Alla fine, sono riuscito nel mio proposito di non finire ultimo, lasciando alla mie spalle una manciata di crossisti, e coltivando in un algolino del mio cuore, la speranza di poter sconfiggere con la stessa tenacia anche i miei acciacci che mi peseguitano da tempo immemore, e quella di scalare qualche posizione nella prossima tappa di Vittorio Veneto.