mercoledì 5 novembre 2008

02/11/2008: 23^ ING NEW YORK CITY MARATHON:New York (N.Y.)- USA.


Sapevo che cercare di descrivere la valanga di emozioni che questa avventura newyorkese ci ha regalato non sarebbe stata una impresa facile, ma non immaginavo di non riuscire a trovare le parole per raccontare cosa significa questa gara. Per la Maratona di New York dividere l’esperienza sportiva da quella umana è praticamente impossibile, le due cose si mescolano, si fondono, si incrociano come i taxi gialli nel traffico cittadino della grande mela.
Non è facile raccontare di questa città e della SUA maratona e puntualizzo volontariamente questo “SUA” perché questa gara, a quanto ho capito, appartiene a New York, ad ogni suo singolo cittadino che la vive in prima persona, da protagonista, pur non correndola o non avendola mai corsa nella stragrande maggioranza dei casi. La vive come un giorno di festa, come un Natale, un ferragosto, un matrimonio. La partecipa in modo totale, dove il minimo che può fare è augurati buona fortuna i giorni precedenti, quando scopre che sei li perché devi correre la domenica successiva e poi su salendo fino ai più impensabili tributi a noi runners protagonisti di questa avventura.
Non è facile dicevamo ma nel cercare di fare uscire sentimenti ed emozioni non posso fare a meno di ringraziare tutto il gruppo che mi ha accompagnato durante questa esperienza. Un mix di persone tanto eterogenee quanto unite dalla stessa passione per la corsa, vissuta,come una malattia ai diversi stadi della sua evoluzione. Cristiano e Denis che hanno pazientemente sopportato i miei “concerti” notturni, dormendo solamente qualche ora per notte. Gianluca che si è prodigato organizzando l’intero viaggio. Michele che mi ha spesso accompagnato a scoprire la città , Gigi con la sua esperienza e la saggezza dei suoi sessant’anni e poi Renzo, esplosivo e sanguigno mattatore e Walter discreto, concreto e fortissimo podista.
Non rimane molto da raccontare, non è lo scopo di queste righe, tuttavia come non ricordare l’arrivo a Manhattan con il tipico taxi guidato da un tipico autista pakistano, la vista mozzafiato che regala la cima dell’empire state building, la solennità di Wall Street , lo stagliarsi della leggendaria statua della libertà nella baia della città, il profondo disagio provocato da Ground Zero e poi il caos di Chinatown la vivacità di Little Italy, la particolare vocazione artistica di Soho, il profilo mozzafiato della sky line di Manhattan dal ponte di Brooklyn all’imbrunire.
Qualche dettaglio sulla gara, in un articolo che dovrebbe parlare di corsa, sarebbe quantomeno auspicabile. Quest’anno è stato l’anno della tre partenze ed i commenti su questa novità di coloro che hanno già corso a New York non sono stati entusiastici. Personalmente non posso esprimere un giudizio se non il rammarico di vedere ai vari intermedi i tempi della “prima wave” piuttosto dei miei. Dopo il freddo sofferto nella zona di partenza e sul leggendario ponte di Verrazzano ci siamo immersi nel caldo abbraccio della folla di Brooklyn dove abbiamo finalmente tolto la felpa e siamo riusciti a sfoggiare la magnifica maglietta creata da Denis appositamente per l’occasione che ci ha regalato l’affetto di migliaia di tifosi lungo il percorso che si sono sgolati gridando ITALIA, ITALIA al nostro passaggio.
Trascinati dall’entusiasmo della folla io e Gianluca abbiamo accelerato il passo portandoci a ritmi che ci proiettavano attorno alle 3 ore e 45 minuti. Abbiamo lasciato indietro Michele e Denis ed avevamo già perso Cristiano e Renzo poco dopo il ponte.
Alla mezza maratona a causa di un pit-stop tecnico al bagno Gianluca mi abbandona, poco dopo all’altezza del Qeensboro bridge comincio ad accusare i primi segni della fatica e nonostante l’ingresso a Manhattan mi regali un bagno di newyorkesi urlanti soffro durante tutta la first ave al punto che come al solito medito il ritiro. Rallento il passo e gestisco le forze residue misurando ogni passo. Nel Bronx sono ormai solo da un pezzo aspetto i crampi da un momento all’altro, ma invece dei “soliti” polpacci questa volta sono le gambe e le piante dei piedi e farmi male. Arriva la quinta strada siamo al 35 km e non posso mollare adesso costeggiando il Central Park avverto stille di dolore ad ogni passo, un corridore mi vede caracollante e mi invita a proseguire dice di essere di New York e che quelle maledette “salitelle” di Central Park le ha fatte mille volte e mi giura che sono finite … era un bugiardo ma che importa! Dopo l’ultima uscita rientriamo nel parco all’altezza di Columbus Circle mancano 500 mt , o sono piedi? Non lo so. Non capisco più niente! Vedo il traguardo in lontananza, riesco persino a dare una sbirciata al cronometro … sono sotto le 4 ore.
Alzo le braccia al cielo gli ultimi passi sono un misto di gioia e sofferenza, mi commuovo e mentre qualche lacrima riga le mie guancie lascio che mi mettano la medaglia al collo e bacio addirittura la ragazza che lo fa … - “good job”, mi dice… good job, good job Davide, mi ripeto io.  

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